Note di Regia Elfriede Jelinek, viennese, nata da padre ebreo di origine slava e da madre céca, ha perduto nei campi di concentramento 49 parenti. Diplomata al conservatorio in pianoforte, sceglierà, dopo alcuni concerti, di dedicarsi alla scrittura per recuperare senso e valore alla parola della memoria paterna. La sua scrittura, costruita su ritmi musicali, è occhio dilatato su ogni relazione in cui serpeggiano atteggiamento e pensiero fascista. Molto amata dalle femministe poichè, come è stato scritto, la sua narrativa ".si pone sempre dalla parte dei deboli, degli sconfitti, degli animi feriti", dagli esordi, e fino al conferimento del premio Nobel nel 2004, ha dichiarato di avere un debito intellettuale nei confronti della Bachmann. Il testo che attinge in più parti anche ai versi di Hoelderlin, è stato pensato dall'autrice come monologo dove una donna, al centro del palcoscenico, sferruzza ascoltando il testo da una radio. Esso affronta il tema della memoria dei popoli in cui i concetti di razza, razzismo e Patria sottolineano la difficoltà dell'accoglienza del diverso, dello straniero, dell'altro da sé insieme al bisogno di ogni essere umano di rispondere alle domande: chi sono? chi siamo? dove andiamo? Il testo costruito a tappe con spazi bianchi ha sollecitato la regia a comporre una riscrittura, che oltre all'ascolto chiedesse allo spettatore l'attenzione dello sguardo e che, per la sua complessità, mi ha occupata un intero anno dall'idea-motivazione alla sua realizzazione.