L’orrore dei manicomi Per non dimenticare
P.L.
15cultura novembre 2013
Un medico lascia la natia Sicilia per raggiungere Arezzo dove va a lavorare ai “Tetti Rossi” come la gente del posto chiama l’ospedale psichiatrico. Qui partecipa con altri colleghi ad una delle esperienze più significative dal punto di vista scientifico, politico, sociale ed umano del nostro Paese: la chiusura del manicomio. Dopo circa 35 anni quel medico ripercorre le spinte personali che lo portarono a scegliere di occuparsi di matti e le vicende umane del manicomio prima e dopo la legge Basaglia. Oggi Luigi Attenasio, è presidente di Psichiatria Democratica e dai suoi ricordi nasce un dramma teatrale in due atti scritto da Maria Inversi (“Io come questi matti non ci divento. Narcisa alla alghe”) che racconta la storia di Narcisa, contadina finita in manicomio per una depressione post parto. Una figura emblematica della popolazione manicomiale: donna, contadina e povera. Attenasio nella postfazione al testo teatrale usa una citazione di Thomas Mann per raccontare il vento che cambia grazie al movimento antimanicomiale all’interno dei manicomi prima della loro chiusura “Non ho mai udito una cosa più sciocca dell’affermazione che dai malati possa venire soltanto una cosa malata”. Trattata come un essere umano grazie al suo medico, Narcisa riscopre la fiducia in se stessa e negli altri. Gli altri sono i suoi compagni di internamento, memoria collettiva delle sofferenze ma anche delle tappe vittoriose che portarono alla straordinaria conquista della loro e della nostra libertà. Nel dramma, agli internati l’autrice affida la parte del coro come nel teatro greco. E le alghe di Narcisa? Uno di quei rimedi usati nei manicomi per le cure dei pazienti insieme alle docce gelate, alla contenzione, alle sedie girevoli, alla piroterapia e all’elettroshock.
Tutti strumenti di tortura portatori di sofferenze, dannosi, privi di basi scientifiche. Almeno le alghe erano innocue. Narcisa si ribella, non ci sta a diventare come gli altri internati chiusi in se stessi, spenti, senza speranza e viene mandata alle alghe. Ad un certo punto del dramma la protagonista a colloquio con lo psichiatra affronta i suoi ricordi, le sue esperienze e si mette a piangere. Lo psichiatra si rivolge al pubblico:”Dice un talmud: Dio conta le lacrime delle donne, le donne piangono di più, perché capiscono di più. Narcisa sta capendo tutto ciò che finora non aveva capito..”
Il testo del dramma è ricco di citazioni letterarie e musicali; la sua lettura fa immaginare una buona messa in scena per la ricchezza della narrazione e l’evoluzione della storia. Aria nuova anche nei manicomi. Spariscono molti strumenti di tortura, ci si affaccia alla vita esterna. E’ l’inizio di una lunga strada ancora oggi lontana dal punto di arrivo, come dimostra la questione ancora irrisolta degli Opg. Ma l’inizio di un cammino fa ritrovare il sorriso e una speranza di vita anche per quei matti poveri un tempo gettati vita natural durante in quelle discariche sociali chiamate manicomi. Narcisa si ribella perché è piena di vitalità repressa dalla società arcaica, dalla povertà e dai pregiudizi. Non è consapevole ma lei come gli altri non ci vuol diventare. Viene ricoperta di alghe e pensare che non ha mai visto il mare. Narcisa, lo psichiatra e i sei del coro sono tutti personaggi che hanno trovato l’autore, pardon, l’autrice in Maria Inversi. Ora aspettano di essere letti e di essere messi in scena perché ne vale la pena. La storia è affascinante e, come lettori e come “basagliati”ci ha prima incuriosito e poi intrigato.