Dei manicomi, ormai, sappiamo tutto.
Sappiamo che non esistono più, almeno non più nella forma si vessazione e violenza. Eppure esistono ancora, in quella più raffinata e subdola della chimica. Chimica usata per avere gli stessi risultati di un letto di contenzione, anzi, migliori perchè dove l’umiliazione e le botte non sempre uccidevano la rabbia, le pasticche, le gocce e i sieri raggiungono l’obiettivo al cento per cento.
Sappiamo che sono stati luoghi di tortura, sappiamo che ci hanno finito la loro vita persone sanissime, alle quali oggi non si darebbe neanche un calmante; sappiamo che era il luogo dove abbandonare gli indesiderati, dove dismettere vite, dove alienare ricordi.
Sappiamo che erano centri di addestramento di aguzzini e laboratori di sperimentazione medica, ma non sappiamo quasi niente di coloro che lì dentro trascinava la sua vita, nè del loro rapporto con i medici, quei medici nuovi, innovatori, quei medici che cercavano dialoghi umani, con esseri umani.
Ed è proprio con la ricostruzione di un rapporto speciale, fra un medico luminoso ed una paziente forte e indomita che Maria Inversi fa luce su questo dialogo così necessario e ormai così dimenticato, perso, svuotato con un percorso teatrale, un dramma in due anni dal titolo “Io come questi non ci divento – Narcisa alle alghe” edito da La Mongolfiera.
Due personaggi ed un coro, moderno e terrifico nella sua cruda realtà.
Due personaggi: lo Psichiatra e Narcisa che attraverso frammenti di vita, di ricordi, racconti lontani, dialoghi serrati come nodi alla gola, disegnano la storia della (non) follia.
Perchè la follia non è. Non è nulla di definibile, la follia non si cataloga, la follia è estemporanea, a volte è arte, sempre è dolorosa, spinosa, degradante. Spesso ride a gola piena e sempre serpeggia verità.