La verità e il suo gioco
Marianne Golz-Goldlust soprano e giornalista (2005)
Storia. (Roma)
(Delt@ Anno IIII, n. 101-102 del 6- 7 maggio 2005) Laura Cocciolo
La vita, la morte e il gioco della libertà.
Ormai da anni Maria Inversi, autrice, regista e attrice, porta alla luce storie di donne straordinarie, colte nel culmine della loro forza e della loro umanità in circostanze straordinarie. “Onestamente sono un po’ stanca”, ammette sorridendo alla fine della lettura di mercoledì sera “ma non riesco a farne a meno. Dopo Amelia Pincherle Rosselli e Milena Jesenska, ho conosciuto la figura di Marianne Golz Goldlust: troppo straordinaria e sconosciuta, meritava di essere riscoperta”.
La storia di Marianne Golz Goldlust è solo l’ultima in ordine di tempo, dunque. Con “LA VITA E IL GIOCO”, presso l’Istituto Austriaco di Cultura, si è chiusa il 4 maggio la rassegna “Fiori nell’oblio”, progettata da Maria Inversi in occasione del sessantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale.
Come ha sottolineato l’ambasciatore austriaco Alfons Kloss nella presentazione, l’obiettivo del progetto era ricordare queste figure audaci e straordinarie (“Se l’Austria e la Repubblica Ceca fanno oggi parte del consesso europeo, questo si deve anche a figure come quella di Marianne Golz Goldlust”) ma anche celebrarle e porle a modello di qualità umane e segnatamente femminili, di tolleranza, solidarietà, pensiero sopranazionale, coraggio, forza. Donne con una forte identità e cosmopolite nello stesso tempo, figure che hanno realmente incarnato, nella loro vita, i valori che si vorrebbe porre a fondamento della nuova Europa. Le loro gesta eroiche, si sono consumate non nei palazzi reali o nei campi di battaglia, ma nelle case, sul lavoro, nelle prigioni
Marianne Golz Goldlust aveva tre nomi: il nome di battesimo (Maria Belokostolsky), il nome d’arte, (Marianne Tolska), e il nome che ha assunto sposando l’ultimo marito.
Marianne è nata a Vienna da padre polacco e madre ceca, ma ha vissuto anche in Germania, per poi stabilirsi a Praga, per amore. Marianne è stata sposata tre volte.
Marianne, soprattutto. ha vissuto tre vite: nella prima, è stata una cantante di operetta famosa e acclamata nei teatri d’Europa. Nella seconda, ha abbandonato il canto e si è dedicata al giornalismo. Intanto, ha iniziato a nascondere e salvare dalla deportazione decine di ebrei e dal sequestro i loro beni, a cominciare dal terzo marito. Nella sua terza vita, durata un anno, Marianne è stata prigioniera nel carcere di Pankrac, per avere “aiutato i nemici del Reich”. Questa sua terza vita, si è conclusa di venerdi, l’8 ottobre 1943. Con la ghigliottina.
La storia di Marianne Golz Goldlust è venuta alla luce alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, quando Ronnie Golz, figlio di quel terzo marito che proprio lei aveva salvato, ha trovato per caso tra le carte del padre appena deceduto la ricevuta del risarcimento per la morte di Marianne. Una donna che non aveva mai conosciuto, ma che è stata determinante per la sua vita proprio come una madre naturale, perché senza di lei sarebbe stato suo padre a non vivere abbastanza per poterlo concepire. Ha poi ritrovato alcune delle lettere che la donna è riuscita a scrivere e far uscire clandestinamente dal carcere, testimonianze di straordinaria intensità, tra lirismo, squallore e scene di vita quotidiana.
Nel 1988, Marianne è stata proclamata giusta dell’umanità, e un albero di ulivo è stato piantato per ricordarla nel giardino dei giusti di Gerusalemme.
Maria Inversi sceglie di ripercorrere la sua vicenda con una lettura semplice e asciutta, accompagnata da alcuni pezzi cantati dal soprano Stefania Fadda e accompagnati al pianoforte da Valeria Vitaterna. La voce di Marianne è affidata all’attrice Antronella Alessandro, che legge brani tratti dalle lettere. Maria Inversi, invece, sceglie di recitare una ‘lettera inventata’, che cerca di esprimere i sentimenti contradditori di angoscia e paura e subitanee tenerezze che Marianne può aver provato negli ultimi giorni della sua vita.
Le lettere sono così intense da far intravedere un mondo sorprendente, in cui il tempo subisce
accelerazioni e rallentamenti repentini, però “io sono ancora in vita. Sì, sono un’ottimista”. Si susseguono l’angoscia della consapevolezza della morte prossima ma incerta, e la speranza che questa morte possa alla fine essere evitata. Le condanne a morte vengono annunciate una volta alla settimana, il mercoledì. Passata l’angoscia per sé, si aprono otto giorni ancora di requie e di speranza. I momenti di vicinanza e solidarietà con le compagne di prigionia (“non avevo idea che il carcere potesse essere divertente, che vi potessero risuonare canti e vi potesse scorrere la vodka”), per la quali Marianne è un catalizzatore di ottimismo: canta, fa da interprete, legge i giornali introdotti di nascosto. Marianne sa quanto è importante che ciò che accade nel carcere venga conosciuto all’esterno e tramandato, e si adopera affinché questo possa avvenire.
I messaggi clandestini parlano di amore, speranza e pace. Per Marianne, l’esterno è soprattutto l’amata sorella Rosi, cui è legata da un rapporto difficile fatto di incomprensioni e lunghi anni di lontananza. Dapprima le chiede un sostegno materiale di piccole cose (un corpetto, una camicia da notte, un grembiule, le chiede come stiano i suoi cani). Ma la sorella le risponde di rado: ha sposato un nazista, non vuole essere coinvolta. Poi, all’avvicinarsi del ”grande giorno” (così chiama il giorno dell’esecuzione), i pensieri si fanno più tristi: Rosi è irrimediabilmente lontana, Rosi non la può salvare (“Ti ho attesa quasi un anno come si attende un’amante, e ora sono vinta”). La lettera inventata fa dolorosamente vivere il rimpianto, la fame di gesti d’affetto, l’angoscia di una donna sola al momento cruciale, ma lucida al punto di voler capire quando è cominciata questa lontananza, e risale in una specie di incubo ai giorni dell’infanzia.
Alla fine Marianne è sola, ma serena: “Ho molto amato, e molto giocato con l’amore”.
Il gioco, come suggerisce il titolo scelto dall’autrice, e come ha spiegato Francesca Brezzi nell’intervento che ha aperto la lettura, è la chiave interpretativa per cogliere la straordinarietà della figura di Marianne. Una donna che non subisce inconsapevolmente il proprio destino, ma che è profondamente conscia di una condizione esistenziale di precarietà, non dettata solo dall’esperienza del carcere. Per questo ogni suo gesto è gesto di rottura: contro il destino che ha deciso tutto per una donna borghese come lei, Marianne si ribella e si getta nell’avventura della vita e dell’amore. Consapevole della precarietà, decide di interpretare diverse parti nella sua vita, tutte con la stessa leggerezza ma con la stessa serietà (i suoi tre nomi, le sue tre vite). L’atteggiamento ludico è una cornice esistenziale, che impedisce di cadere nell’angoscia, di lasciarsi vincere dallo squallore della prigione, che permette di godere di un canto o delle prime gemme della primavera. Marianne ha scommesso, e ha rischiato. Ha avuto più coraggio di amare che paura della morte. Alla fine, la serena ammissione: “Al gioco della vita ho perso”. Ma non importa, pare dire, l’importante è aver giocato. È questa rivendicazione di libertà la lezione più preziosa che Marianne Golz Goldlust ci ha lasciato.
Le lettere di Marianne Golz Goldlust sono pubblicate in Il grande giorno, a cura di Marcella Filippa, edizioni Città Aperta (2004)